Africa e aiuti, serve altro debito UE per sostenere la cooperazione
La crisi migratoria del 2023 non sembra tradursi in un serio piano di interventi per migliorare le condizioni di vita dei paesi africani. Il dibattito è centrato prevalentemente su come governare i flussi di immigrati e, nonostante si sia allargato dai tavoli europei a quelli mondiali con recenti incontri all'ONU, non ci sono ancora soluzioni concrete all'orizzonte, nessuna proposta che centri il problema nel suo complesso.
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Lo slogan "aiutiamoli a casa loro" non è nuovo ma questa espressione è rimasta finora sempre generica e semplicistica, mai tradotta in un serio programma di sostegno al continente africano.
Eppure la predisposizione di una vera politica di cooperazione non è finora mancata, almeno nell'Unione europea, che ha varato a fine 2021 il Global Gateway Investment Package, con una previsione di investimenti per 150 miliardi di euro, incrementando notevolmente le risorse finanziarie rispetto ai precedenti anni.
Tuttavia bisogna valutare se gli sforzi finora programmati dall'Unione, uniti agli investimenti diretti in Africa degli altri Paesi europei, siano davvero sufficienti a generare una sostanziale crescita economica nel continente.
In questa valutazione bisogna tenere conto dei piani di Paesi quali Cina, Russia, Arabia, già molto presenti nei territori africani e con mire evidenti sulle loro risorse. L'Africa è il teatro di una guerra per assicurarsi importanti materie prime e per accrescere l'egemonia delle Nazioni menzionate, quindi il perseguimento di questi interessi strategici non può essere lasciato ai singoli Paesi membri ma va coordinato dall'UE.
Il primo dato da considerare riguarda gli investimenti diretti in Africa negli ultimi 15 anni, mediamente pari a circa 50 miliardi di dollari all'anno, con un picco straordinario solo nel 2021 (cfr. dati Unctad sotto riportati).
Questi investimenti esteri nel continente non sembrano abbiano contribuito in maniera fondamentale ad accrescere il PIL africano, secondo quanto rilevano le percentuali nel seguente grafico di Statista, piuttosto a mantenerlo stabile intorno ad una media del 4% annuo.
l principali paesi che investono in Africa sono quelli europei, cominciando da Regno Unito ($60mld), Francia ($54mld) e Paesi bassi ($54mld) (Stock - dati UNCTAD). Le risorse che arrivano dal blocco orientale sono comunque significative e nei prossimi 10 anni la competizione aumenterà considerevolmente, crisi pandemiche e guerre permettendo. I prossimi grafici evidenziano non solo l'entità degli interventi cinesi in Africa, ma i trend negativi degli investimenti diretti dell'Europa e del Nord America sul continente.
Il dato riguardante lo sviluppo demografico dell'Africa è correlato con quelli sulla crescita economica, con un effetto potenzialmente devastante sui livelli di povertà: la popolazione, da 1,25 miliardi nel 2019, salirà secondo le Nazioni unite a 2,5 miliardi nel 2050 (2,1 miliardi per l'Africa sub sahariana).
Affinché lo sviluppo demografico non si trasformi in flussi migratori insostenibili per l'Europa è assolutamente necessario un salto notevole degli investimenti europei in Africa, per non lasciare che si rafforzino ulteriormente le relazioni con gli altri player globali, con effetti negativi sui Paesi europei.
Questa necessità di aumentare fortemente gli investimenti in Africa si scontra con la scarsità di risorse finanziarie e le capacità di indebitamento dei singoli Paesi UE. Sembra inoltre inefficiente lasciare ai singoli Paesi decisioni strategiche così importanti, soprattutto senza assicurare un coordinamento europeo in materia.
In questo contesto, sia per contrastare eventuali future crisi, sia per coinvolgere in modo strutturale i territori africani nell'economia europea, è possibile ipotizzare un incremento rilevante del Fondo Europeo per lo Sviluppo Sostenibile con emissione di titoli di debito europei, come è stato fatto con il Recovery Fund.
Usando meccanismi di blended finance, la dotazione finanziaria del Fondo potrebbe generare investimenti fino a 7-8 volte l'importo raccolto sui mercati, raggiungendo più obiettivi:
- riduzione dei flussi migratori,
- crescita del PIL africano, con impatto positivo anche sulla crescita dell'Unione,
- assicurazione di risorse e materie prime importanti per il sistema economico europeo,
- migliori relazioni con un territorio confinante con l'Europa.
L'incremento del nuovo Fondo sarebbe subito operativo perché lo strumento è già regolato dall'Unione, senza ritardare l'impiego dei finanziamenti. Sarebbe poi opportuna una maggiore cooperazione con le principali banche dedicate alla realizzazione degli investimenti: EIB, EBRD, African Development Bank, World Bank.
Convincere tutti i Paesi membri ad una nuova emissione di debito europea non sarà agevole, ma la valenza strategica è tale che non sembrano esistere alternative.
Se la UE riuscirà ad allargare la sua influenza in maniera decisiva nel continente a lei più vicino e che ha maggiori possibilità di sviluppo, potrà rafforzare il suo potere internazionale e diffondere i suoi valori in un momento storico di grande difficoltà per l'Occidente, tra la guerra in Ucraina, una incerta situazione politica negli Stati Uniti, con un ex presidente che ha principi estranei alla storia americana, le tensioni tra Cina e Taiwan, a cui si è aggiunta anche l'esplosione del conflitto tra Israele e Hamas.
Quella di aumentare il livello di intervento in Africa è una decisione da prendere subito, perché gli effetti derivanti dall'attuazione degli investimenti non sono immediati. Pure l'eccessiva "finanziarizzazione" dell'economia mondiale - ormai temuta da molti economisti - potrebbe domani non consentire il facile assorbimento di nuovi bond, quantomeno ai tassi attuali, già in forte rialzo per le crisi internazionali.
L'Italia ha una forte sensibilità sul tema e ha pensato ad un piano "Mattei" per l'Africa, in via di definizione. Farsi però carico di una proposta dotata di maggiore impatto sarebbe sintomo di una visione più lungimirante ed efficace, in grado di aumentare la reputazione del nostro Paese nel contesto internazionale.