La rappresentazione del valore e il bilancio integrato

La corretta rappresentazione dell’impatto che le attività aziendali hanno sul sistema degli stakeholders può concorrere ad incrementarne il valore?

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La nascita di un nuovo paradigma

Nel corso degli anni, ma soprattutto a partire dall’inizio del 1900 e con una rapida accelerazione nel secondo dopoguerra si sono moltiplicati i parametri che gli stakeholder hanno utilizzato per effettuare una valutazione delle aziende.

L’evoluzione è in parte andata di pari passo con l’esplicitarsi della complessità tipica dell’ambiente in cui un’azienda opera ma soprattutto con la sempre maggiore consapevolezza che ogni impresa possa giocare un ruolo molto più ampio di quello della massimizzazione del profitto o in generale degli obiettivi stabiliti dalle teorie sviluppate fino ad oggi ed incidere in modo deciso sull’ambiente circostante sia questo legato ad aspetti puramente finanziari che sociali o di utilizzo delle risorse ambientali.

Ogni volta che veniva aggiunta una variabile o un nuovo punto di vista dal quale effettuare le valutazioni si modificava anche il sistema di rendicontazione e il bilancio arricchendolo di quelle componenti che permettessero il necessario livello di disclosure ma almeno fino a questo momento nessuno aveva mai pensato di modificare il paradigma su cui il sistema era basato e che tendeva a guardare l’impresa più verso le dinamiche interne che per gli effetti sul mondo esterno dando sempre e comunque privilegio agli shareholder rispetto agli stakeholder.

A partire dall’inizio del nuovo millennio, ma sicuramente con un’accelerazione negli ultimi cinque anni, si va via via affermando un nuovo paradigma che prende sempre più in considerazione l’azienda come un’entità che ha un valore che trascende quello puramente finanziario o di bilancio ma riflette gli impatti che l’azienda ha sul suo ambiente circostante sia in un’ottica di impatto sociale che di impatto ambientale. Questo nuovo paradigma sta sviluppando un suo nuovo modello di governance chiamata appunto ESG (Environmental, Social, Governance) e una nuova metrica di misura che trova nel “bilancio integrato” (integrated report) il suo sistema di sintesi.

Il bilancio integrato risponde a una logica di rottura rispetto ad una valutazione in silos per abbracciare una visione olistica e trasversale dell’azienda, appunto integrata, che fornisca agli investitori una lettura comprensiva e di insieme di un mix di informazioni finanziari e non finanziarie.

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Una nozione storica

Il bilancio integrato ha le sue radici in Sudafrica. Infatti, nel 2009 il codice di corporate governance sudafricano (King II, superato nel 2017 dal King III) normava per la prima volta il principio che “il consiglio di amministrazione deve rendersi conto che la strategia, il rischio, la performance e la sostenibilità sono inseparabili” con la conseguente raccomandazione che il bilancio redatto dagli amministratori integrasse le informazioni necessarie.

Questo principio è stato poi incluso tra i requisiti indispensabili per accedere alla quotazione alla Borsa Valori di Johannesburg (JSE). In seguito all’inclusione di questo principio all’interno della JSE si è formato l’Integrated Reporting Committee che nel 2011 ha rilasciato uno schema per la composizione del rapporto integrato. Nel frattempo, organismi come la GRI (Global Reporting Initiative) e SASB (Sustainability Accounting Standard Board) partendo dal paradigma ESG hanno iniziato a definire dei principi standard di composizione del bilancio integrato.

Ad oggi, i principi sviluppati da GRI e SASB non hanno ancora portato alla definizione di standard universalmente riconosciuti mettendo in evidenza il problema della diretta comparabilità dei risultati. Tuttavia, è dubbio se, data la complessità e diversità dell’impatto sugli indicatori ESG riferibili ad ogni azienda, sia opportuno creare degli standard troppo vincolanti. Probabilmente infatti si può giungere ad una più ampia e precisa informazione inserendo nello schema un’accurata definizione dei modelli ed ambiti di misurazione scelti e sacrificare in parte la possibilità di avere un’immediata comparabilità dei valori.

Dove porta il nuovo paradigma?

Nonostante l’idea di rendere il bilancio un documento che potesse rappresentare l’azienda in un modo più olistico sia nata all’inizio di questo decennio, la spinta determinante all’evoluzione del nuovo paradigma l’ha fornita prima l’accordo di Parigi del 2015 (COP21) e poi l’adozione del sistema degli indicatori di sostenibilità (SDG) da parte dell’assemblea generale delle nazioni unite nel 2017. Questi due eventi hanno riproposto il ruolo delle aziende come driver di sviluppo sociale e creato la necessità di adottare un sistema integrato di rappresentazione che ne descrivesse in modo adeguato l’impatto.

Si può senz’altro affermare che il bilancio integrato debba comunicare il modo in cui la strategia, la governance e le performance di un’organizzazione possano condurre alla creazione di valore nel medio-lungo termine, ne consegue che il bilancio integrato non possa ridursi ad una semplice attività di descrizione o di compliance ma debba essere costruito su un nuovo modo di intendere l’azienda che possiamo definire pensiero integrato o sistemico.

Ripensare l’azienda in modo sistemico significa avere una visione integrata che ne accresca la responsabilità, l’affidabilità e la trasparenza attraverso un sistema chiaro di divulgazione dei criteri ESG che implichi una migliore gestione dei rischi, un migliore accesso ai capitali e al reclutamento e ritenzione dei talenti. Per poter ottenere questi risultati è necessario un cambiamento di prospettiva per poter adottare una cultura integrata. Spesso però è la decisione di adottare un bilancio integrato che permette all’azienda di ripensarsi e sviluppare all’interno un pensiero integrato.

Il pensiero integrato e i capitali di impresa

La base del nuovo paradigma diventa quindi un modo di pensare che permea la cultura aziendale, ma soprattutto la governance e si riflette in un diverso approccio strategico che consideri i rapporti e le interazioni tra sei forme di capitale che influenzano la capacità dell’azienda di generare valore nel tempo.

Le sei categorie di capitale sono state definite da IR Framework in:

  • Capitale Finanziario: L’insieme di fondi disponibili per essere utilizzati nella produzione di beni o per l’erogazione di servizi ottenuti sia da operazioni di finanziamento che generato attraverso attività di autofinanziamento o di investimento.
  • Capitale Manifatturiero: Strumenti, macchinari ed attrezzature fisiche resi disponibili all’organizzazione e finalizzati alla produzione di beni o all’erogazione di servizi inclusi gli edifici e le infrastrutture. 
  • Capitale Intellettuale: Base delle conoscenze immateriali incluse le proprietà intellettuali come brevetti, copyright, software, licenze e diritti espliciti oltre al capitale organizzativo come le conoscenze informali, i sistemi organizzativi, le procedure ed i protocolli.
  • Capitale Umano: L’insieme delle competenze, capacità ed esperienza delle persone impiegate all’interno dell’azienda oltre al livello della loro motivazione e la condivisione del modello di governance, di management, di gestione del rischio e dei valori etici definiti ed esplicitati dall’azienda.
  • Capitale Sociale e Relazionale: L’insieme delle relazioni tra le differenti comunità, gruppi di stakeholder ed altri network e la capacità di condividere informazioni per incrementare e migliorare il benessere individuale e collettivo.
  • Capitale naturale: Tutte le risorse naturali sia quelle rinnovabili che non rinnovabili. Include l’aria, l’acqua, il territorio, i minerali e le foreste oltre ai livelli di biodiversità e gli ecosistemi.

Creazione di valore, benefici del bilancio integrato e collegamento con gli indicatori SDG

La creazione di valore si sviluppa in un contesto esterno che definisce le condizioni economiche, i cambiamenti tecnologici, le problematiche sociali e ambientali. All’interno la visione e missione dell’azienda, unitamente al modello di business generano non solo un “output” ma un “outcome” in altre parole generano un impatto che attraverso la performance attesa dei sei capitali impatta su tutti gli indicatori di sostenibilità. Questo impatto influisce direttamente sia all’interno dell’organizzazione sia sull’ambiente esterno.

Chi deve indicare il percorso deve essere nelle condizioni di strutturare un modello di governance in grado di gestire i rischi e, definendo una chiara strategia di allocazione delle risorse, ottenere una performance in grado di massimizzare il valore nel medio lungo periodo.

La creazione di valore non sarà quindi un processo statico, la continua revisione delle componenti e delle relazioni, unitamente all’incoraggiamento di una cultura innovativa e di partecipazione porterà ad una continua innovazione dei prodotti e ad un migliore utilizzo delle tecnologie e delle risorse in un’ottica di sostenibilità di sistema.

Esplicitando i capitali non finanziari, come questi entrano nel modello di business e come contribuiscano alla generazione di un outcome si genera una visione olistica (integrata) di come l’azienda attraverso la sua attività impatta il sistema circostante.

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Misurazione del valore

La tematica della misurazione del valore è sicuramente quelle più critica nello sviluppo di un modello di bilancio integrato. I modelli e le metriche scelte per la valutazione dell’impatto devono essere chiaramente esplicitati e definiti con rigore teorico e metodologico. Come già ricordato, organizzazioni come GRI e SASB hanno cercato di introdurre degli standard di riferimento. Tuttavia, ad oggi, questi standard sono sicuramente una chiara indicazione dei principi da seguire per effettuare una corretta valutazione, ma non entrano nello specifico dei modelli sottostanti le singole attività di valutazione e probabilmente, dato l’elevato livello di frammentazione e disomogeneità che caratterizza l’ambiente interno ed esterno ad ogni organizzazione, non è nemmeno opportuno che ci si arrivi. Per questo motivo una chiara disclosure ed una corretta definizione delle metriche e dei modelli è indispensabile per effettuare una precisa valutazione di affidabilità e quindi di misurazione dei risultati.

A puro titolo di esempio si riporta in tabella lo schema utilizzato da Samsung per definire l’impatto delle componenti non finanziarie in una logica ESG nel suo bilancio integrato per il 2018.

 

 

Siamo in presenza di una nuova rivoluzione?

Nonostante l’idea che l’impresa debba avere un impatto anche su altri fattori non strettamente finanziari non sia un aspetto nuovo ma, al contrario, si possa addirittura far risalire alla fine dell’800 (Albion W. Small, “Private Business Is a Pubblic Trust”, Journal of Sociology 1895), fino ai tempi più recenti non riesce a incidere in modo determinante sulle teorie della massimizzazione del profitto.

Solo negli ultimi dieci anni il dibattito sui cambiamenti climatici, l’introduzione degli indicatori di sostenibilità in un’ottica non unicamente ambientale e il nuovo paradigma proposto dalle teorie dell’economia circolare hanno riportato l’azienda al centro di una realtà più complessa e reso necessario un nuovo schema interpretativo e di misurazione che potesse mettere meglio in evidenza il ruolo da loro giocato nella creazione di valore per tutti gli stakeholder e per le comunità locali.

Se questa tendenza sarà confermata, richiederà un cambio di passo importante nell’interpretazione dei fenomeni economico politici e nelle attività professionali che, tra le altre cose, saranno chiamate ad una visione molto meno settoriale in un’ottica non solo multisettoriale, ma olistica, capace quindi non solo di cogliere il movimento delle singole variabili, ma soprattutto le relazioni tra di esse e l’impatto complessivo sviluppato.

Va sicuramente altresì sottolineato che oltre alla capacità tecnica di individuare metriche ed indicatori capaci di spiegare l’impatto sociale ed ambientale che l’azienda produce sarà anche necessario un cambiamento culturale, che renda centrali trasparenza e disclosure.

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