Scuola e imprese: approvata la riforma dell’istruzione tecnica e professionale
Nelle intenzioni del ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, la riforma consentirebbe di intercettare le esigenze del mondo del lavoro e di affrontare meglio la crisi, preparando il capitale umano necessario al rilancio del Made in Italy.
Attualmente in Italia gli istituti tecnici sono 1.800, suddivisi in 10 settori e 39 indirizzi. Li frequentano 873.522 alunni. Con l’entrata in vigore della riforma i settori saranno ridotti a due: quello economico (suddiviso nei due indirizzi amministrativo e del turismo) e quello tecnologico (si spazia dall’informatica alla moda, dai trasporti all’energia, dalla meccanica all’agroindustria, dalle costruzioni all’ambiente). Aumentano le ore di laboratorio, accanto ad una cultura tradizionalmente più teorica. Crescono la flessibilità e l’autonomia delle scuole nella scelta dell’offerta formativa, anche in base alle caratteristiche geografiche. Potenziato lo studio dell’inglese e di una seconda lingua comunitaria. Cambiano i modelli organizzativi: nasce un comitato tecnico scientifico composto non solo da docenti, ma anche da esperti per favorire il raccordo tra gli obiettivi della scuola, le innovazioni delle ricerca scientifica ed il mondo del lavoro. Favoriti anche gli stage in azienda. In sintesi, il percorso sarà articolato in due bienni (il secondo suddiviso in annualità singole per facilitare i passaggi tra diversi sistemi di istruzione e formazione) e un quinto anno.
Approvato anche il riordino degli istituti professionali, articolati in due macrosettori: quello dei servizi quello per l’industria e l’artigianato, suddivisi al loro volta in sei indirizzi.
Approvati in via definitiva anche i regolamenti sulla valutazione che vedono il passaggio dai giudizi ai voti numerici. Il giudizio sintetico resta, solo nella scuola primaria, per la religione cattolica e per il giudizio dei comportamenti. Condotta ed educazione fisica concorrono alla media dei voti per l’ammissione all’anno successivo e all’esame di Stato. “Chi si iscriverà ai nuovi istituti avrà maggiori chance di trovare lavoro” ha commentato in conferenza stampa il ministro Gelmini.
Se da un lato questa attenzione per l'istruzione tecnico-professionale può essere interpretata come un segno di inversione di tendenza, in una scuola da sempre dominata da un'impostazione eccessivamente umanistica, non è possibile affermare fin d'ora quali saranno gli esiti del cambiamento. A partire dagli anni Novanta il settore della scuola è stato oggetto di profonde riforme che si sono susseguite tra i governi di diverso colore: da Berlinguer a Moratti, da Mussi a Gelmini non c’è un ministro che si sia astenuto dal riformare. Ci si chiede se queste repentini cambiamenti abbiano davvero giovato al sistema. C'è da dire che nell'ultimo decennio il mondo dell'insegnamento è stato protagonista di processi di mutamento di diversa natura. Soltanto nell'anno scolastico 2007/2008, ad esempio, gli studenti con cittadinanza non italiana erano 574.133, pari al 6% del totale della popolazione studentesca. Non sempre però i cambiamenti sono riusciti a rispondere alle esigenze degli studenti e delle famiglie. Allo stesso tempo la professione dell’insegnante con il tempo ha subito un grave svilimento, a causa dei tagli ripetuti e di una mancata valorizzazione, sia economica che umana. Secondo la Cgil - Scuola il problema principale è rappresentato dai laboratori che, nell’impostazione della Commissione De Toni (dal nome del coordinatore che ha redatto la riforma degli istituti tecnici), sono strategici per il riordino di questo pezzo importante di scuola, mentre il governo ne ha stabilito un taglio del 30%.
(Alessandra Flora)