Aiuti di stato per la transizione green: le nuove regole anti IRA e i rischi per il mercato unico
Nel pacchetto di misure proposte il 1° febbraio dalla Commissione europea nell’ambito del Green Deal Industrial Plan c’è un punto piuttosto controverso e che preoccupa l’Italia: le modifiche alle regole sugli aiuti di Stato per sostenere gli investimenti nelle tecnologie verdi che corrono il rischio di essere rilocalizzate. Modifiche che secondo molti rischiano di frammentare il mercato unico a favore di pochi Paesi più forti, in particolare l’asse franco-tedesco.
Cosa prevede il Green Deal Industrial Plan
Va premesso che le modifiche al Quadro temporaneo di crisi per gli aiuti di Stato per agevolare e accelerare la transizione green sono per ora solo un progetto, una proposta su cui Bruxelles ha aperto una consultazione rivolta agli stati membri.
Ma si tratta di una proposta che ha allarmato da subito l’Italia e che potrebbe spaccare in due il mercato unico, mettendo a rischio la stessa coesione europea.
Cosa prevedono le nuove regole sugli aiuti di Stato: il Quadro temporaneo di crisi e transizione
Nell’ambito del Piano industriale green strutturato in 4 pilastri - regole più semplici, finanziamenti per la transizione verde, green skills e maggiore certezza nell’approvigionamento delle materie prime - il secondo punto è sicuramente il più delicato e controverso.
Oltre al Fondo di sovranità europeo, che sarà presentato in estate, e alla mobilitazione dei fondi esistenti (partita tutta da giocare e che coinvolge REPowerEU e Next Generation EU), Bruxelles propone di trasformare il Quadro temporaneo di crisi per gli aiuti di Stato in un Quadro temporaneo di crisi e transizione.
Non si tratta di una modifica solo terminologica. Per stimolare sostenere la decarbonizzazione dell'industria e la produzione delle attrezzature necessarie per la transizione verso l'azzeramento delle emissioni nette, la proposta della Commissione viaggia su due binari:
- agevolare la concessione di aiuti a sostegno delle energie rinnovabili e degli investimenti per la decarbonizzazione dell'industria, in sinergia con la revisione del regolamento di esenzione per categoria attesa nelle prossime settimane, anzitutto innalzando i massimali entro cui gli Stati membri possono erogare aiuti senza notificarli alla Commissione;
- permettere agli Stati membri di sostenere direttamente la produzione di tecnologie green, quelle più colpite dall’Inflation Reduction Act statunitense. Vale a dire: la produzione di batterie, pannelli solari, turbine eoliche, pompe di calore, elettrolizzatori e l'uso e lo stoccaggio del carbonio, oltre alle relative materie prime critiche necessarie per la produzione di tali dispositivi.
Per approfondire: Cosa prevede il Quadro di crisi e transizione
La vera novità sta nel secondo punto della proposta. La stessa vicepresidente della Commissione e responsabile per la Concorrenza Margrethe Vestager l’ha descritta come una novità “incisiva seppur temporanea” e “un cambiamento profondo nelle politiche sugli aiuti di Stato”.
Novità che potrebbe comportare un rischio considerevole per il mercato unico. Per citare nuovamente le parole della Vestager nella conferenza stampa di presentazione del pacchetto di misure, “si corre il rischio di pregiudicare la concorrenza e l’integrità nel mercato unico”. Motivo per cui si tratta di misure temporanee, termine che la commissaria ha usato almeno una decina di volte nel corso della conferenza stampa. Se concretizzate, infatti, le nuove regole si applicherebbero fino al 31 dicembre 2025.
Perché le nuove regole sugli aiuti di Stato potrebbero mettere a rischio il mercato unico?
Sostanzialmente, per tentare di rispondere in maniera efficace all’IRA americano, cioè il pacchetto di misure anti-inflazione che dovrebbe drenare 369 miliardi di investimenti a favore del “Made in USA” nell’industria verde, la Commissione sposta il campo di gioco dall’UE ai singoli Stati membri, che avranno margini d’azione più ampi per investire in tecnologie green.
In pratica, i singoli Paesi europeo potranno applicare regimi semplificati per sostenere le aziende che operano nelle rinnovabili e nella mobilità elettrica, non dovendo obbligatoriamente notificare ogni singolo progetto d’investimento a Bruxelles e attenderne il via libera.
“Si dovrebbero calcolare gli aiuti come percentuale dei costi d’investimento con un massimale assoluto per tutti”, spiega Vestager. E aggiunge: “Proponiamo percentuali più elevate per le aree meno sviluppate. Mentre per gli Stati membri che propongono freni fiscali invece degli aiuti o che hanno aiuti mirati alle PMI si propone un massimale ancora più elevato”.
Ma non è tutto. L’altra opzione temporanea ed eccezionale proposta dalla Commissione riguarda il cosiddetto allineamento.
Per evitare che le aziende attive nei settori più colpiti dall’IRA finiscano per delocalizzare la produzione fuori dall’UE per beneficiare di prezzi dell’energia più bassi e di maggiori sovvenzioni, la Commissione permetterà ai singoli Stati di allineare i propri aiuti a quelli dei Paesi terzi. E’ la stessa Vestager a fare un esempio pratico di cosa significa questo allineamento: “Se un’azienda riceve l’offerta di 1 miliardo di dollari da un paese terzo a sostegno di un nuovo impianto per le batterie, lo Stato europeo potrebbe offrire la stessa cifra”.
E’ una novità importante, tanto importante da mettere a rischio la tenuta del mercato unico a favore dei Paesi che hanno margini di bilancio maggiori. Francia e Germania, ad esempio: basti pensare che nell’ambito del Quadro temporaneo di crisi ad oggi in essere i due Paesi da soli hanno fatto registrare l’80% di richieste di concessione di aiuti di Stato (approvate da Bruxelles).
“Usare gli Stati membri per creare produzioni di massa e allinearsi alle sovvenzioni estere è una novità che comporta rischi considerevoli per il mercato unico e per la nostra coesione”, commenta la commissaria. Di conseguenza, comporta rischi per l’unità stessa dell’UE.
“I paesi europei non sono tutti uguali quando si parla di aiuti di Stato, per questo motivo abbiamo previsto diverse condizioni per l’allineamento degli aiuti”, aggiunge la commissaria alla Concorrenza.
Ovvero, per allineare gli aiuti di Stato a quelli di Stati Uniti, Cina, India o di altri Paesi extra-EU occorre rispettare una serie di condizioni: va spiegato a Bruxelles il modo in cui è calcolato l’aiuto, se si tratta di investimenti indispensabili per centrare gli obiettivi green che l’UE si è data, occorre dimostrare che gli aiuti promessi dai Paesi terzi siano reali e soprattutto è fondamentale dimostrare che questi aiuti avvantaggiano non solo lo Stato europeo che li mette a disposizione ma anche altri Paesi UE.
“Gli aiuti possono essere concessi solo se gli investimenti comportano la cooperazione tra più Stati membri, non devono essere usati per spostare gli investimenti da uno Stato all’altro. Qualsiasi aiuto pubblico concesso in una regione ricca deve trascinare un'altra regione anziché lasciare poche briciole per gli altri”, spiega Vestager.
Ma la cooperazione sarà una condizione sufficiente a non creare sbilanciamenti nel mercato unico?
Perché l’Italia rischia di rimanere vittima delle nuove regole sugli aiuti di Stato green?
Va da sé che un Paese come l’Italia, il cui bilancio statale ha già margini strettissimi e che di certo non può vantare la potenza di fuoco della vicina Francia o della Germania, da sempre motore industriale del Vecchio Continente, corre il rischio di subire i contraccolpi di queste nuove regole.
Non a caso il governo italiano si è subito schierato contro le nuove regole proposte da Bruxelles, un’operazione giudicata “frammentaria”, che creerebbe un sistema di risposte a suon di sussidi, i quali - oltre a rischiare di creare scompensi sul mercato interno - possono innescare una guerra commerciale tra USA e UE tutt’altro che auspicabile.
Il rafforzamento del dialogo atlantico è la premessa su cui poggia la risposta italiana, che auspica nuove regole di bilancio comuni nell’ambito della revisione del patto di Stabilità e Crescita che puntino idealmente a una capacità di bilancio e spesa comune dell’UE nei prossimi anni.
Di parere opposto la Germania, con il ministro dell’Economia Robert Habeck che ha definito quella della Commissione “un’ottima proposta”.
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